PRESENTAZIONE DEL LIBRO “FRANCO MINISSI, UN MAESTRO PER IL MUSEO E PER IL RESTAURO” (Ed. Gangemi, di Sandro Ranellucci)

 

L’aspetto che meno mi convince nella presentazione dei libri è che le riflessioni medesime siano trasmesse a chi il libro non lo ha letto.

Che ancor più è probabile che dalle medesime persone forse neppure verrà letto. Pur essendo un libro un veicolo non univoco e unidirezionale tra un soggetto attivo ed un soggetto passivo.

Oltretutto essendo un libro parte di un processo di catalizzazione che ha bisogno della partecipazione attiva sia di chi scrive sia di chi legge.

E’ equivoco ritenere che possa bastare la presenza di un soggetto che comunica e di uno che si limita ad ascoltare.

Eviteremo pertanto di ripetere oralmente quanto scritto in forma più estensiva nel libro. Attribuiremo alla presentazione perciò un significato che in riferimento al libro pervenga ad un significato parzialmente autonomo.

 

La PRIMA RIFLESSIONE ribadisce quella che è la Premessa propria del Libro.

La quale consiste nell’incrollabile convinzione del ruolo di Maestro che senza alcun dubbio deve essere riconosciuto a Minissi.

Questo libro dedicato al suo ruolo magistrale è rivolto soprattutto a quel periodo di attività, non meno che trentennale nel quale ho avuto il privilegio di operare con continuità al suo fianco.

Un lungo periodo di operosità che comporta l’eredità di un peso non confontabile. In questo senso il libro costituisce il dovuto riconoscimento di ruolo.

Ma nel contempo ho inteso di dare   un contributo  in qualche modo innovativo nella determinazione della figura del Maestro in relazione alla poetica insita nella sua opera.

Rispetto a un tale  Maestro d’eccezionale risalto, prendendo ad occasione la considerazione puntuale della sua opera, ho ritenuto di accompagnare  l’elaborazione teoretica del settore della museografia e del restauro.

In altri termini ho ritenuto, nel perseguire l’itinerario critico dell’opera Minissi, di cogliere l’occasione al fine di individuare i nessi con l’articolazione logica degli ambiti disciplinari di museologia e museografia.

Dal che, nel tener conto dell’ottica insita nel suo approccio, è ribadita  la netta connessione tra museo e restauro.

 

Conseguentemente all’individuazione del ruolo di Maestro detenuto da Minissi derivano i contenuti della

SECONDA RIFLESSIONE.

All’interno della quale occorre sottolineare la vicenda della demolizione della copertura di Minissi a Piazza Armerina sui mosaici, come un particolare atto di lampante incoerenza. Reso più grave proprio da quel riconoscimento del suo ruolo.

Negli ultimi anni si è verificata un profondo contrasto  tra chi ha operato un’ opera distruttiva sulla copertura dei mosaici della Villa del Casale di Piazza Armerina e chi come l’autore di questo libro, che strenuamente ne ha difeso la conservazione.

Il suddetto contrasto è noto come si sia concluso purtroppo con l’alterazione in termini sostanziali di un’opera che oltre tutto per il suo arco di esistenza superava in termini numerici il prolungamento dei termini di tutela. Per quanto riguardava quell’opera di Minissi non esisteva alcun termine ragionevole per procedere alla demolizione di quell’architettura e alla sua sostituzione.

All’interno di questo nostro libro su  Minissi-Maestro di Restauro e museografia abbiamo preferito non indugiare, seppure probabilmente sarebbe stato ancora opportuno, in merito alle violenze subite da quell’opera di Minissi.

Certo non possiamo porre in risalto quanto abbiano finito per concorrere al gioco distruttivo degli occasionali detrattori,  sostanziali qualità della opera stessa di Minissi.

In particolare consistenti nella sua ferma convinzione, che l’approccio museografico debba estrinsecarsi tramite qualità di minimalismo e di reversibilitàMinimalismo e reversibilitàle quali sono del resto le caratteristiche che rendono difficoltosa nei musei anche la conservazione ed il restauro delle opere d’arte concettuale o povera.

E in effetti l’opera di Minissi si identifica con un linguaggio e una sostanza volte ad una dichiarata reversibilità. Abbiamo avuto modo di riflettere rispetto a ciò nel libro.

 

Il che ha offerto una pretestuosa occasione a chi ha ritenuto di poter fingere di poter non intendere. Materiali poveri intenzionali nonchè concezione d’opera aperta sono state intese come occasioni oggettive per fingere di poter relegare la copertura di Piazza Armerina al ruolo di una copertura strumentale.

Come se avesse potuto essere  sostituibile con una soluzione ben meno poetica e più banale.

 

All’interno di innumerevoli commenti che ho avuto modo di scrivere negli anni passati, distribuiti in differenti direzioni, avevo obiettato con vigore come non si dovesse assolutamente percorrere una strada diversa, che non fosse quella della conservazione dell’opera di Minissi nella sua manutenzione.

Sgarbi ha avuto la colpa di affidarsi ad una non pertinente obiezione, come se il materiale costitutivo di quella copertura fossero il ferro ed il perspex,  materiali non “simpatici” o di per sé “nobili.

In una obiezione del tipo di quella che in altra epoca aveva condotto alla demolizione dellacopertura delle Halles di Parigi.

L’assurdo è che il raffinato critico, promotore della demolizione della copertura dei mosaici di Piazza Armerina, è il medesimo che sempre invece si era dichiarato fermamente contrario (opportunamente, aggiungeremmo), alla demolizione della copertura sull’Ara Pacis concepita dell’architetto Morpurgo, del 1938, demolita probabilmente a sua volta solo in quanto colpevole d’essere sobria.

Quantunque egli fosse  contrario anche (altrettanto assai opportunamente, aggiungeremmo ancora), ad altre poco meditate aggiunte Moderne proposte da altri all’ingresso degli Uffizi o a ridosso del Palazzo dei Diamanti a Ferrara.

Rispetto a questa consistente e molto opportuna linea di giudizi fondata sul rispetto, (costantemente altrove mantenuta dall’oculato critico Sgarbi), ci siamo trovati con lui in realtà ad essere sempre d’accordo in una comune linea di coerenza. Ma in merito alla demolizione della copertura di Piazza Armerina no.

Quella linea di rispetto che non ha mai voluto la demolizione di preesistenze storicizzate, chissà perché ha dovuto essere contraddetta da Sgarbi nella distruzione della copertura di Minissi a Piazza Armerina!

A parte  il frettoloso odio dichiarato per il ferro, costitutivo della struttura, e per il minimalismo della sua impronta, a pretesto è stata presa, in tale forma di abbaglio incoerente, la demolizione per l’inefficenza della copertura rispetto ai mosaici. Il che null’altro è che un pretesto, come se dopo oltre mezzo secolo non si potesse ricorrere asoluzioni adatte al mantenimento della finalità protettive adottate da Minissi. Conseguendo esiti migliorativi rispetto alla soluzione tecnica prescelta una settantina di anni fa. In effetti in quegli anni Cinquanta la soluzione impostata sulla protezione tramite lastre di perspex era parsa davvero innovativa e risolutiva.

A distanza di tanto tempo in realtà  molti requisiti da parte di superfici rigide trasparenti avrebbero potuto essere essere ben numerosi.

Non è questa la circostanza per entrare approfonditamente nel merito di efficaci soluzioni possibili che in proposito sono state affrontate. Abbiamo ritenuto all’interno di tesi di laurea di confrontare il progetto di Minissi a Piazza Armerina con le tecologie delle strutture d’ingresso ai centri Apple nelle maggiori metropoli, o con numerose architetture di Kengo Kuma o di Foster o di altri in tante altre circostanze.

Verificando come tante direzioni avrebbero potuto essere intraprese, piuttosto che incorrere precipitosamente e inopportunamente nella demolizione dell’opera di Minissi.

 

A questo punto vale la pena di rilevare, in una  TERZA fase di RIFLESSIONE:

che una volta compiuto il sacrificio di Piazza Armerina non manca il rischio di  trovarsi di fronte ad altre ipotesi di sacrificio di altre soluzioni magistrali di Minissi in una chiave di esigenza di rinnovamento.

Ignorando in tale circostanza che la conservazione delle opere di Minissi, testimonianze di cultura storicizzate, potrebbero essere conciliate sia con i più attuali miglioramenti sul piano dell’efficienza sia nella direzione di ipotesi estensive del museo sul piano dimensionale.

Ora che il misfatto di Piazza Armerina si è compiuto, pertanto, il rischio è addirittura che esso possa costituire una premessa ad intraprendere la dimolizione di tutto quello di Minissi che appartiene agli anni Cinquanta e alla seconda metà di quel secolo scorso.

In una recente conversazione che ho avuta con il critico Sgarbi egli stesso mi ha confessato di essere assai perplesso di fronte a sprovveduti inviti ricevuti finalizzati a sponsorizzare la sostituzione di altre strutture museali di Minissi fondamentali, quali il museo archeologico Orsi, ad esempio, a Siracusa. Alla quale potrebbe seguire quella di altre strutture museali dello stesso autore, colpevoli solo d’appartenere a quei medesimi anni Cinquanta.

Come se non esistessero soluzioni alternative più corrette rispetto alla distruzione di esemplari opere dell’intelletto.

Su alcune direzioni inerenti la possibilità di acquisire ulteriori superfici ad una certa funzione museale, o di conseguire forme di rinnovamento ho avuto modo di soffermarmi ad esempio nel volume che ho dedicato alle ”Addizioni museali”.

In queste occasioni nella possibilità di un ricorso alle cosiddette “addizioni”, intese come la concezione di strutture museali aggiuntive,

sono state adottate soluzioni che oramai vanno a consolidarsi.

La porzione del museo in aggiunta, magari collocata a debita distanza dall’architettura considerata storicizzata, viene posta in tali casi in collegamento tramite un collegamento ipogeo, o distaccato mediante uno specchio d’acqua, come risolto ad esempio da Piano,nell’estensione del Kimbell Art M. o in virtù d’una duna, o d’una barriera vegetale.

E’ necessario che non si intenda il museo e le relative problematiche come quelle che contemplano la possibilità di sostituire la scatola museale storicizzata con una nuova scatola museo destinata a rinnovare la comunicazione di un brand, oltre che troppo ambizioso, anche stonato rispetto ai principi della museografia.

 

Le soluzioni non mancano.

 

Essenziale è che sia ben chiaro, tornando al nostro argomento, il presupporto del rispettoche è necessario che venga attribuito a ciascuna delle opere esemplari dell’intelletto, quali sono per l’appunto le opere pervenuteci da. Minissi.

Pertanto l’esigenza è che si consideri storicizzata l’opera Moderna che ha validi requisiti temporali e di rappresentatività. Che si proceda alla manutenzione progressiva delle sue strutture, cosicchè possa svolgere degnamente la sua funzione.

Che riceva una sostituzione di dettagli costruttivi in chiave dei conseguimenti più reenticoerenti con le qualità dell’opera.

Che riceva l’eventuale affiancamento in addizione di una porzione museale concepita in modo da non determinare uno snaturamento dell’opera storicizzata suddetta. Se i suddetti requisiti metodologici fossero stati rispettati non ci troveremmo a rimpiangere l’opera più nota e rappresentativa di Minissi, oggi perduta.

 

Una verifica dei suddetti requisiti metodologici sarebbe opportuno che fosse affidata possibilmente preventivamente in qualunque sede di sperimentazione universitaria. In sottrazione a qualunque poco meditata iniziativa distruttiva.