MINISSI, UN MAESTRO PER IL MUSEO E PER IL RESTAURO. ED. GANGEMI
L’aspetto che meno mi convince nella presentazione dei libri è che tali presentazioni siano rivolte a chi il libro non lo ha letto. Che è probabile che forse neppure lo leggeranno. Un libro è un veicolo di comunicazione non univocamente unidirezionato tra un soggetto attivo ed un soggetto passivo. In realtà il libro è parte di un processo di catalizzazione che ha bisogno della partecipazione attiva sia di chi scrive sia di chi legge. E’ equivoco ritenere che possa bastare la presenza di un soggetto che comunica e di uno che si limita ad ascoltare. Eviteremo in questa riflessione di ripetere pedissequamente quanto è contenuto in forma più estensiva nel libro.
Attribuiremo al questa presentazione del libro perciò un significato che procedendo da esso pervenga ad un significato parzialmente autonomo. La PRIMA RIFLESSIONE, nella quale ci soffermiamo, ribadisce in realtà quella che è la Premessa propria del Libro.
La quale consistenel ruolo di Maestro che senza alcun dubbio va riconosciuto a Minissi. Il libro inerente il ruolo magistrale di Minissi è rivolto ad un periodo di attività trentennale al quale ho avuto il privilegio di partecipare con continuità al suo fianco. La quale comporta un’eredità dal peso di per sé difficilmente paragonabile.
In questo senso il libro costituisce il dovuto riconoscimento di ruolo e di meriti. Rispetto ad un Maestro d’eccezionale risalto, prendendo ad occasione la considerazione puntuale della sua opera, occorre che si accompagni l’elaborazione teoretica più ampia ed approfondita nel settore della museografia. Nel libro ho inteso di aver di aver dato un contributo parzialmente innovativo nella determinazione della figura del Maestro in relazione alla poetica insita nella sua opera. Perseguendo con meticolosità l’itinerario critico di Minissi, ho mirato a configurare in maniera compiuta l’articolazione logica degli ambiti disciplinari di museologia e museografia. Il che, tenendo conto dell’ottica con precipue finalità conderative insite nell’approccio di Minissi, ribadisce la netta connessione tramuseo e restauro. NellaSECONDA RIFLESSIONEintendo sottolineare la demolizione della copertura di Minissi a Piazza Armerina sui mosaici particolarmente come un atto di lampante incoerenza. Negli ultimi anni si è verificata una profonda spaccatura tra chi ha operato un’ opera distruttivasulla copertura dei mosaici della Villa del Casale di Piazza Armerina e chi come chi scrivestrenuamente ne ha difeso la conservazione. Il suddetto contrasto è noto come si sia concluso con l’alterazione in termini sostanziali di un’operache oltretutto superava per il suo arco di esistenza quanto previsto dal prolungamento dei termini di tutela.
In rapporto alla suddetta opera non sussisteva dubbio dubbio che nonesisteva alcun termine ragionevole per procedere alla demolizione di quell’architettura e alla sua sostituzione. All’interno di questo nostro libro su Minissi-Maestro di Restauro e museografia abbiamo preferito non indugiare per quanto forse sarebbe stato opportuno in merito alle violenze subite dall’opera di Minissi. Hanno finito per concorrere al gioco distruttivo degli occasionali detrattori sostanziali qualità della sua opera. In particolari consistenti nella ferma convinzione, da parte di Minissi, che l’approccio museografico debba estrinsecarsi tramite qualità di minimalismo e di reversibilità. Minimalismo e reversibilità sono del resto le caratteristiche che hanno reso difficoltosa nei musei la conservazione ed il restauro delle opere d’arte concettuale o povera.
Identificandosi l’opera di Minissi con un linguaggio e una sostanza volte per l’appunto ad una dichiarata reversibilità, come ci si è soffermati a riflettere nel libro, la qual cosa ha offerto una pretestuosa occasione a chi ha ritenuto di poter fingere di poter non intendere. Materiali poveri intenzionali e concezione d’opera apertavengono intesi correntemente come occasioni oggettive per fingere di poter relegare la copertura di Piazza Armerina al ruolo di una copertura strumentale sostituibile con una soluzione ben meno poetica e più banale. All’interno di innumerevoli commenti scritti negli anni passati, distribuiti in differenti direzioni, avevo obiettato con vigore come non si dovesse assolutamente percorrere una strada diversa, che non fosse quella della conservazione dell’opera di Minissi. Affidandosi Sgarbi alla non pertinente obiezione che il materiale costitutivo della copertura di Minissi fosse colpevolmente il ferro, quindi un materiale non “simpatico” o di per sé “nobile”. In definitiva riferendosi ad una obiezione analoga a quellla che portò allademolizione delle preziose coperture delle Halles di Parigi.L’assurdo è che il raffinato critico Sgarbi, promotore della demolizione della copertura di Minissi,è il medesimo che sempre invece si era dichiarato fermamente contrario (opportunamente, aggiungeremmo), alla demolizione della copertura sull’Ara Pacis concepita dell’architetto Morpurgo, del 1938, demolita probabilmente in quanto colpevole d’essere sobria. Quantunque egli fosse contrarioanche (altrettanto assai opportunamente, aggiungeremmo), ad altre poco meditate aggiunte Moderne proposte da altri all’ingresso degli Uffizi o a ridosso del Palazzo dei Diamanti a Ferrara.
Rispetto a questa consistente e molto opportuna linea di giudizio fondata sul rispetto, (costantemente mantenuta dall’oculato critico Sgarbi), ci siamo trovati con lui in realtà ad essere sempre d’accordo in una comune linea di coerenza. La sua linea di rispetto che non ha mai voluto la demolizione di preesistenze storicizzate, chissà perché ha dovuto essere contraddetta la distruzione della copertura di Minissi a Piazza Armerina!
A parte l’odio dichiarato per il ferro costitutivo della struttura, e per il minimalismo della sua impronta, è stato preso a pretesto è stata presa a pretesto in tale forma di abbaglio incoerente la demolizione perl’inefficenza della copertura rispetto ai mosaici.
Come se dopo oltre mezzo secolo non potessero ricorrere a soluzioni adatte al mantenimento della finalità protettive di Minissi fossero migliorative di una soluzione tecnica in perspex di una settantina di anni fa. Negli anni Cinquanta la soluzione di protezioni in lastre di perspex era parsa innovativa e risolutiva. A distanza di tanto tempo in realtà gli avanzamenti sotto il profilo di molti requisiti da parte di superfici rigide trasparenti avrebbero potuto essere bennumerosee verificatenella pratica di numerose realizzazioni ovunque verificate.Non è questa la circostanza per entrare nel merito di soluzioni che in parte già abbiamo affrontato altrove. E’ sufficiente evocare il progetto di Minissi a Piazza Armerina conciliandole con le tecologia delle strutture d’ingresso ai centri Apple nelle maggiori metropoli, o nelle architetture di Kengo Kuma o di Foster o in tante altre occasioni. Tutto piuttosto che incorrere precipitosamente nella demolizione dell’opera di Minissi.
Vale la pena ribadire, in una TERZA RIFLESSIONE: che dopo il sacrificio di Piazza Armerina non mancano alcune altre ingenue ipotesi di rimodernare anche altre soluzioni magistrali di Minissi in una chiave di superficiale soddisfacimento del brand. Ignorando che la conservazione delle opere di Minissi, testimonianze di cultura storicizzate, potrebbero essere conciliatesia con i più attuali miglioramentisul piano dell’efficienza sia nella direzione di ipotesi estensive del museo sul piano dimensionale. Ora che il misfattodi Piazza Armerina si è compiuto, pertanto, il rischio èaddirittura che esso possa costituire un invito ad intraprendere la dimolizione di tutto quello che appartiene a quella stessa fase storica.
In una recenteconversazione conil critico Sgarbi egli stesso mi ha confessato di essere assaiperplesso di fronte a sprovveduti inviti a sponsorizzare la sostituzione di altre strutture museali di Minissi fondamentali, quali il museo archeologico Orsi, a Siracusa.
Alla quale potrebbe seguire quella di altre strutture museali dello stesso autore, colpevoli solo d’appartenere a quei medesimi anni Cinquanta. Come se non esistessero soluzioni alternative più corrette rispetto alla distruzione di esemplari opere dell’intelletto. Su numerose direzioni inerenti la possibilità di acquisire ulteriori superfici ad una certa funzione museale ho avuto modo di soffermarmi ad esempio nel mio volume sulle ”Addizioni museali”. In queste occasioni nella possibilità di un ricorso alle cosiddette “addizioni”, intese come la concezione di strutture museali aggiuntive, sono state adottate numerose soluzioni, magari collocate a debita distanza dall’architettura storicizzata, posta in collegamento tramite un collegamento ipogeo, o distaccato mediante uno specchio d’acqua, come risolto da Piano,nell’estensione del Kimbell Art M. o in virtù d’una duna, o d’una barriera vegetale.
E’ necessario che non si intenda il museo e le relative problematiche come quelle che contemplano la possibilità di sostituire la scatola museo storicizzato con una nuova scatola museo destinata a rinnovare la comunicazione di un brand, oltre che ambizioso, stonato rispetto ai principi della museografia.
Le soluzioni non mancano. Se è ben chiaro il presupporto del rispetto che è necessario che venga attribuito a ciascuna delle opere esemplari dell’intelletto, quali sono per l’appunto tutte le opere che ci sono pervenute da Minissi.